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19 de mayo de 2015

Elsie Wunderlich, 56 Biennale di Venecia.



AGENDA CULTURAL CRISTINA FALERONI.-
Elsie Wunderlich
Sweet Death- 56 Biennale di Venecia.Pabellón Guatemala

09/05/2015 - 22/11/2015
Artistas invitados:Sabrina Bertolelli,Mariadolores Castellanos,
Max Leiva,Pier Domenico Magri,Adriana Montalto,
Elmar Rojas (Elmar René Rojas Azurdia),
Paolo Schmidlin,Mónica Serra,Elsie Wunderlich,
Collettivo La Grande Bouffe

“Il Guatemala è il paese dell’eterna primavera."




In Guatemala tutto è pieno di colori bellissimi, la natura risplende nella luce purissima, alcuni cimiteri hanno le tombe variopinte, addirittura la morte è dolce e non viene vista come punizione.

Il Guatemala è attualmente in fase di progresso, centro di cultura e benessere”

“Il tema della mostra, da me diretta e ideata, trae sì ispirazione dal libro di Mann, dal film di Visconti, dall’opera di Britten, ma soprattutto affronta il concetto della “morte-finitudine” intesa come decadenza e perdita valoriale nella società contemporanea, il tutto però espresso attraverso il linguaggio della gioia e del colore, tramite un approccio dolce e lezioso. Esemplificativo a tal proposito è lo scenario offerto dal cimitero di Chichicastenango, in Guatemala, dove le tombe sono coloratissime, i bambini giuocano tra i loculi, i ragazzi si baciano e gli anziani ridono tra le lapidi. Direttamente dai riti Maya, il lutto conserva i suoi colori: tombe bianche per i padri, turchesi per le madri, blu per i bambini, gialle per i nonni. In questa mostra artisti guatemaltechi e internazionali si confronteranno sul tema della morte rivivendo una situazione affine a quella di Gustav von Aschenbach, invecchiato ma affascinato dalla bellezza del giovane Tadzio e per questo incipriato da un trucco caricaturale; allo stesso modo l’Arte, oggi “senile” e morente, tenterà un ringiovanimento artificiale. Per Gino de Dominicis infatti l’arte sumera – nel nostro caso quella maya- era“giovane” mentre quella a lui contemporanea “vecchia”, attraverso un metro essenzialmente cronologico.

Venezia così diviene la scenografia perfetta per questo paesaggio dell’anima, commistione tra gusto Rococò, carnevalesco e festoso, fuso assieme ad un senso di melodramma solenne. L’inseguimento di una Bellezza, evocata tramite immagini contraddittorie e spesso vistose, è come il belletto, un palliativo grottesco e visibile, incapace di nascondere la morte. E quel trucco altro non è che il variopinto cromatismo delle tombe guatemalteche, un modo per esorcizzare la fine dell’uomo e umanizzare il trapasso. In più tutta l’esposizione recherà in ogni opera un easter egg, una traccia segreta e accessibile solo dietro una riflessione, ennesima maschera atta a nascondere una realtà alternativa. In un gioco di sovrapposizione di ruoli, frutto di un rapporto scherzoso e osmotico, gli artisti italiani conferiranno ai guatemaltechi tocchi maya e spinte coloristiche, al contrario il Guatemala offrirà esempi di arte “diluita e influenzata” dal colonialismo. Sarà presente quindi una poligamia artistica multicolore, priva di frontiere, con gustose scenografie e combinazioni tra sacro e profano. Accanto agli espositori invitati figureranno i collaboratori, artisti anch’essi, simili alle maestranze quattrocentesche, ossia personificazioni di un mestiere a tutto tondo, uniti assieme nel grande affresco della vita.”

“Il Guatemala è il paese dell’eterna primavera.

In Guatemala tutto è pieno di colori bellissimi, la natura risplende nella luce purissima, alcuni cimiteri hanno le tombe variopinte, addirittura la morte è dolce e non viene vista come punizione.

Il Guatemala è attualmente in fase di progresso, centro di cultura e benessere”

“Il tema della mostra, da me diretta e ideata, trae sì ispirazione dal libro di Mann, dal film di Visconti, dall’opera di Britten, ma soprattutto affronta il concetto della “morte-finitudine” intesa come decadenza e perdita valoriale nella società contemporanea, il tutto però espresso attraverso il linguaggio della gioia e del colore, tramite un approccio dolce e lezioso. Esemplificativo a tal proposito è lo scenario offerto dal cimitero di Chichicastenango, in Guatemala, dove le tombe sono coloratissime, i bambini giuocano tra i loculi, i ragazzi si baciano e gli anziani ridono tra le lapidi. Direttamente dai riti Maya, il lutto conserva i suoi colori: tombe bianche per i padri, turchesi per le madri, blu per i bambini, gialle per i nonni. In questa mostra artisti guatemaltechi e internazionali si confronteranno sul tema della morte rivivendo una situazione affine a quella di Gustav von Aschenbach, invecchiato ma affascinato dalla bellezza del giovane Tadzio e per questo incipriato da un trucco caricaturale; allo stesso modo l’Arte, oggi “senile” e morente, tenterà un ringiovanimento artificiale. Per Gino de Dominicis infatti l’arte sumera – nel nostro caso quella maya- era“giovane” mentre quella a lui contemporanea “vecchia”, attraverso un metro essenzialmente cronologico.

Venezia così diviene la scenografia perfetta per questo paesaggio dell’anima, commistione tra gusto Rococò, carnevalesco e festoso, fuso assieme ad un senso di melodramma solenne. L’inseguimento di una Bellezza, evocata tramite immagini contraddittorie e spesso vistose, è come il belletto, un palliativo grottesco e visibile, incapace di nascondere la morte. E quel trucco altro non è che il variopinto cromatismo delle tombe guatemalteche, un modo per esorcizzare la fine dell’uomo e umanizzare il trapasso. In più tutta l’esposizione recherà in ogni opera un easter egg, una traccia segreta e accessibile solo dietro una riflessione, ennesima maschera atta a nascondere una realtà alternativa. In un gioco di sovrapposizione di ruoli, frutto di un rapporto scherzoso e osmotico, gli artisti italiani conferiranno ai guatemaltechi tocchi maya e spinte coloristiche, al contrario il Guatemala offrirà esempi di arte “diluita e influenzata” dal colonialismo. Sarà presente quindi una poligamia artistica multicolore, priva di frontiere, con gustose scenografie e combinazioni tra sacro e profano. Accanto agli espositori invitati figureranno i collaboratori, artisti anch’essi, simili alle maestranze quattrocentesche, ossia personificazioni di un mestiere a tutto tondo, uniti assieme nel grande affresco della vita.”

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